Il cuore batte sempre più forte, il respiro si accorcia finché non diviene un vero e proprio affanno, non si riesce a respirare abbastanza come se l’aria che si inspira non bastasse, come se i polmoni fossero chiusi. Si sente paura di soffocare, di morire, un terrore atavico, mai provato prima.
Il corpo è strano, come se non fosse il proprio, la testa corre di qua e di là come un uccello in gabbia durante una tempesta, cresce la paura che questo stato non avrà mai fine, che non si tornerà più normali, che si rimarrà per sempre in questa strana follia fisica.
Ciò che ho appena descritto è un attacco di panico, condizione spiacevole di cui soffrono in Italia oltre 2 milioni di persone.
Ma che cosa fa sì che solo alcune persone sviluppino questi disturbi? Sono ereditari?
Gli studi scientifici mostrano come persone che in famiglia hanno avuto parenti con attacchi di panico presentino più probabilità di svilupparli. La predisposizione genetica, da sola, non è però sufficiente a sviluppare un disturbo da attacchi di panico. La genetica – grazie al cielo – non è una sentenza! Perché la predisposizione genetica si “attivi”, serve una combinazione di fattori ambientali e personali.
Tra i fattori ambientali, il più importante è quello di aver dovuto fronteggiare situazioni molto stressanti, come per esempio grossi problemi di lavoro o la rottura di una relazione sentimentale importante (l’80% di chi ha un attacco di panico per la prima volta ha avuto nell’anno precedente qualche episodio di forte stress).
Tra i fattori personali, secondo me il principale è lo stile relazionale, cioè il modo di rapportarsi agli altri. Chi arriva a soffrire di attacchi di panico è frequentemente una persona che si tiene tutto dentro, che non manifesta il proprio scontento e disappunto, che non fa trapelare nulla della propria rabbia.
Ma l’aggressività inespressa ha sempre conseguenze, e se non la si esterna non può che finire contro noi stessi.
Inghiottire ancora e ancora sensazioni spiacevoli fa sì che poi il conto arrivi tutto in una volta, generando quel corto circuito pazzesco che è l’attacco di panico.
Imparare ad esternare – quando è il caso – i propri vissuti, anche quelli socialmente meno piacevoli, può aiutare a ridurre lo stato di tensione interna e migliorare notevolmente la qualità di vita delle persone che soffrono di attacchi di panico.
Per dirla con Fernando Pessoa, “porto addosso le ferite di tutte le battaglie che ho evitato”